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Baruffini

Baruffini

Lunghezza
7,3 km

Dislivello
430 metri

Tempo di percorrenza
2 ore e 30 minuti

Percorribilità
da marzo a novembre

Itinerario che segue il sentiero del contrabbando usato dagli “spalloni” per portare generi di contrabbando dalla Svizzera all’Italia.

Irma Rinaldi, nome ignoto ai più. Non in quel di Baruffini, piccolo e suggestivo nucleo sopra Tirano. 

Qui tutti ricordano che si tratta di una giovane donna uccisa il 15 dicembre del 1964 durante un’operazione di contrabbando. Due anni dopo, nel settembre 1966, il pericolosissimo sentiero detto «la passerella», che dal confine italo-svizzero porta alla frazione di Roncaiola, fu teatro di una seconda duplice tragedia. Due finanzieri fermarono, nel punto più pericoloso del sentiero, un contrabbandiere, il quale, spaventato e gravato del carico, fece un brusco movimento, perdendo l'equilibrio. Il finanziere Dario Cinus, nel tentativo di trattenerlo e salvarlo, precipitò con lui nel vuoto. Rinaldi e Cinus furono, dunque, entrambi, seppur di due fronti opposti, vittime del contrabbando che, fino agli anni sessanta del secolo scorso, fu un’attività molto praticata dalla gente del posto, come integrazione spesso preziosissima delle magre risorse legate alla vita contadina. Diego Zoia, nell’articolo “Commercio minore e contrabbando”, in “Mondo popolare in Lombardia – Sondrio e il suo territorio” (Milano, Silvana editoriale, 1955), offre un ampio quadro storico di questo fenomeno.

“Il miglioramento progressivo delle condizioni di vita nei primi decenni di questo secolo, particolarmente apprezzabile a partire dagli anni Trenta quando si iniziarono nella zona grossi lavori legati alla realizzazione di centrali idroelettriche, ed il relativo maggior benessere che ne seguì ridussero l'intensità del fenomeno contrabbandiero nella zona, con l'esclusione delle frazioni di Roncaiola e Baruffini, dove rimase endemico ancora per diversi decenni. Una reviviscenza si ebbe comunque negli anni del secondo conflitto mondiale, per effetto soprattutto della penuria di generi alimentari che si accompagna a tutti i conflitti. Il traffico illegale di confine si rifece in quell'epoca assai intenso, in entrambe le direzioni ma soprattutto dall'Italia verso la Svizzera. Nella provincia di Sondrio, infatti, la relativa fertilità del territorio, la migliore esposizione e le quote di fondovalle più basse consentivano una discreta produzione di grani, uva e castagne. Va poi aggiunto che erano possibili sia gli allevamenti di suini, da parte di quasi tutte le famiglie, che discrete coltivazioni orticole; tutto ciò consentiva una, se pur stentatissima, autarchia di sopravvivenza; il riso, la pasta e lo zucchero arrivavano, anche se in quantitativi limitati, dalla pianura e bene o male si riusciva a campare. La confinante valle di Poschiavo, in territorio svizzero, presenta invece possibilità di coltivazione assai più ridotte: le quote e l'orografia non consentono la coltura della vite, riducono ad entità marginale quella del castagno e penalizzano fortemente quella dei cereali, anche i meno esigenti (segale e grano saraceno). Il contrabbando venne esercitato in periodo bellico soprattutto da donne e ragazzi, in quanto i maschi validi erano quasi tutti partiti per svolgere il servizio militare. Il traffico divenne tanto intenso e si allargò ad una tale varietà di beni, alimentari e non (tra questi ultimi pneumatici, tessuti, binocoli, macchinari leggeri e persino profilattici) che si diede vita, in prossimità della dogana svizzera di Viano, ad un vero e proprio mercatino, con esibizione in vendita di generi vari.

In direzione opposta andavano invece i trasporti di sale, all'epoca difficilmente reperibile in Italia (soprattutto dopo il 1943) ed indispensabile alle famiglie contadine per la conservazione delle carni dei maiali dalle stesse allevati, che rappresentavano una componente fondamentale dell'alimentazione, col latte e derivati, i grani ed il vino. Poschiavo e Brusio erano, in territorio elvetico, i centri di smistamento delle merci. Da Poschiavo partivano infatti i carichi di sale in direzione sia di Grosio (attraverso i passi della val Grosína occidentale) che verso Ponte in Valtellina e Chiuro (attraverso la val Fontana), mentre dalla zona di Brusio partivano quelli diretti verso il Tiranese. Spesso erano le donne che si incaricavano del trasporto, caricandosi sulle spalle sacchi di 20-25 kg e valicando, anche in caso di cattiva stagione, passi alpini che superano abbondantemente i 2000 metri di quota […] Negli anni Cinquanta, ma soprattutto nel decennio successivo, l'attività contrabbandiera in zona subì una progressiva quanto radicale trasformazione, legata in gran parte alle disposizioni di legge, sia in materia doganale, che di altro contenuto, relative al commercio del caffè, che fecero divenire Tirano e il suo circondario un vero e proprio centro di smistamento, a livello addirittura sovraregionale, di tale merce importata di frodo. Causa prima di tale stato di cose furono gli elevati dazi doganali su tale genere, che rendevano oltremodo lucrosa l'evasione, combinati con le maglie troppo larghe delle disposizioni relative al trasporto del caffè tostato, che rendevano estremamente difficoltoso il controllo sulle evasioni dei dazi una volta che il prodotto fosse in territorio italiano […] Tutto questo portò gradatamente ad un evidente snaturamento delle tradizionali forme di esplicazione dell'attività contrabbandiera: ad una vera e propria esplosione del fenomeno sotto il profilo quantitativo si accompagnò una grave degenerazione delle sue caratteristiche. Nel solo 1965, secondo dati ufficiali, vennero denunciate per contrabbando, in provincia, 1339 persone e sequestrati 212.000 kg di caffè e 18.500 kg di tabacchi lavorati, oltre a 109 automezzi. I dati sono tra l'altro assai poco indicativi, soprattutto per quanto riguarda il caffè, per la notevole sproporzione tra le violazioni accertate e quelle commesse […]”.

I tempi difficili del contrabbando nel tiranese appaiono ormai lontani, e la distanza storica aiuta a maturare una consapevolezza più pacata. Frutto di questa riflessione è la dedica di un sentiero, che tocca i luoghi più significati legati al contrabbando nelle zone di Roncaiola e Baruffini, alle figure di Irma Rinaldi e Dario Cinus. Si tratta del Sentiero del Contrabbando e della Memoria, e l’iniziativa è della Sezione tiranese dell’Associazione Nazionale Finanzieri d’Italia. Sulla piazza della chiesa di S. Pietro, a Baruffini, un pannello ci informa del significato e dello spirito che hanno indotto a questa iniziativa: “In questo paesaggio, cosi armonizzato con la nostra storia, il contrabbando ha fortemente caratterizzato la zona del Tiranese fino agli anni '70. Tra contrabbandieri e finanzieri si era creato un rapporto dì contrapposizione, ma anche di rispetto reciproco. Per questo, L'A.N.F.I. (Associazione Nazionale Finanzieri d' Italia)- sezione di Tirano e protagonisti dell’altro schieramento hanno realizzato il progetto "Sentiero del contrabbando- Sentiero alla memoria".Indicazioni naturalistiche e rievocazioni storiche vi guideranno lungo il percorso, che accoglie i due punti di vista e lega alla montagna il ricordo di Irma Rinaldi, vittima del contrabbando e Dario Cinus, finanziere. Ad essi è intitolato il sentiero.”

 

Il medesimo pannello ci offre le informazioni sintetiche sul percorso, che prevede la partenza e l’arrivo a Baruffini. Lo sviluppo complessivo è di 8,5 km, il dislivello in altezza è di 450 metri ed il tempo di percorrenza è stimato in 4 ore. 

Il periodo ideale per camminare su questo percorso della memoria è l’autunno.

Portiamoci con l’automobile a Baruffini (imbocchiamo la strada di circa 4 km che sale al paese lasciando, a Tirano, la ss 38 dello Stelvio – se proveniamo da Sondrio –per prendere, prima del semaforo, a sinistra). Parcheggiata l’automobile nella piazza del paese, concediamoci qualche istante per gustare le linee eleganti quanto essenziali della chiesa di S. Pietro martire, che fu consacrata nel 1537 ed eretta a parrocchia nel 1638. Nulla turberà la nostra pace, nonostante il nome di questa frazione derivi molto probabilmente dal verbo longobardo “rauffen”, cioè “azzuffarsi”.  

Cominciamo, dunque, la camminata seguendo la strada principale che sale alla parte alta del paese. Giunti ad un primo bivio, stiamo sulla sinistra, fino ad un secondo bivio. Qui i cartelli ci indicano che la strada di destra sale a Pra Fontana, Pra Baruzzo, Pra Zarè e Pra Campo, mentre quella di sinistra porta al Piazzo. Ci sono anche due cartelli escursionistici, entrambi relativi alla strada di sinistra: indicano l’uno Piazzo (20 minuti), Sasso del Gallo (un’ora e 5 minuti) e Roncaiola (30 minuti), l’altro il Sentiero del contrabbando e della memoria. Proseguiamo, dunque, verso sinistra, lasciandoci alle spalle le ultime case di Baruffini. Siamo su una stradina asfaltata che supera una valletta e ci porta ad un nuovo bivio: mentre la strada prosegue, a sinistra, per il nucleo del Piazzo, sulla destra se ne stacca una pista con fondo in erba. Un cartello indica che seguendo questa pista (che poi coincide con il primo tratto del Sentiero del Contrabbando e della Memoria) si raggiunge in 45 minuti il Sasso del Gallo. Si tratta di un itinerario storico, cioè dell’antichissima via che si addentrava, da Tirano, sul fianco mediano del versante orientale della Valle di Poschiavo, raggiungendo lo xenodochio di San Romerio (o Romedio). Il cartello dà, infatti, Viano ad un’ora e 30 minuti e San Romerio a 3 ore e 45 minuti. C’è, infine, una targa che segna l’inizio del Sentiero del Contrabbando e della Memoria.

Lasciamo, dunque, la strada asfaltata e cominciamo a salire sulla pista: troveremo quasi subito, alla nostra destra, una croce in ferro, una fotografia ed una targa che commemora Irma Rinaldi, uccisa il 15 dicembre del 1964 durante un’azione di contrabbando. La targa, posta dai compaesani di Baruffini, è posta sul luogo stesso della tragedia. C’è anche una targa del Sentiero del contrabbando e della memoria, sulla quale si legge: “Località Piazzo – Nella notte fra il 14 e il 15 dicembre 1964, a soli 25 anni, moriva qui Irma Rinaldi, ferita a morte da un colpo di pistola sparato da una guardia di finanza. Si tratta dell’unica donna vittima del contrabbando durante il dopoguerra nella Provincia di Sondrio e di un tragico esempio di contrapposizione fra gli uomini. Poco più avanti si trova la cappelletta, “santella”, dedicata alla Beata Vergine Immacolata, molto cara a contrabbandieri e finanzieri, tanto invocata da ambedue nei momenti di pericolo. Possa Ella vegliare e infondere serenità negli animi e in questi luoghi, tristi e cari insieme.” 

Poco più avanti, ci raggiunge, salendo da sinistra, la mulattiera che proviene da Roncaiola, il nucleo che se ne sta affacciato sullo strapiombo di roccia che sovrasta Tirano. Qui troviamo altri cartelli, che danno Sasso del Gallo a 50 minuti (Sentiero del contrabbando e della memoria), Pradentia ad un’ora e 30 minuti, Pra Baruzzo a 2 ore, il lago di Schiazzera a 4 ore e 45 minuti (Sentiero Italia). Ancora un pezzo in salita, poi eccoci alla cappelletta dedicata alla Beata Vergine Immacolata, di cui già sappiamo: è posta in un punto panoramico, perché il bosco di pini silvestri si apre e, dal ciglio di un salto di roccia, godiamo di un ampio panorama su Tirano e sulla media Valtellina, fino al colle di Teglio. 

La strada volge ora leggermente a destra: entriamo così in Valle di Poschiavo, ed infatti davanti a noi vediamo, sul versante opposto, la Val Saiento, sua prima tributaria occidentale, chiusa sul lato sinistro dal pizzo Combolo. Un grande muraglione alla nostra destra è stato eretto quando un incendio rovinoso (di cui vediamo i segni) ha imposto il rifacimento di questo tratto di pista. La traversata prosegue alternando alcune ripide salite a tratti quasi pianeggianti. Appare, in fondo alla valle, davanti a noi, uno spaccato della sezione orientale del gruppo del Bernina, con le tre cime del Piz Palϋ ed il Piz Varuna. Scorgiamo anche la meta cui ci approssimiamo, il rudere dell’ex caserma della Guardia di Finanza posta in località Sasso del Gallo. Sotto i nostri piedi, invece, le antichissime e levigate pietre della storica strada che fu, nei secoli passati, importante via di commerci e pellegrinaggi. Raggiungiamo, quindi, un bivio: mentre la strada prosegue diritta (Sasso del Gallo è dato a mezzora), alla sua destra si stacca una mulattiera (Sentiero Italia) che porta in un’ora e 15 minuti a Pradentia. Noi tiriamo diritto, sempre circondati dal desolante spettacolo del bosco sfregiato dall’incendio. Poco oltre questa deviazione, prestiamo attenzione sul lato sinistro della strada: su un grande masso vedremo incise alcune coppelle, che, secondo alcuni, potrebbero riprodurre la disposizione delle stelle dell’Orsa Maggiore. Tutto ciò testimonia l’antichissima antropizzazione di questi luoghi.

Passiamo, poi, a destra di un capanno in legno e di una fontana, raggiungendo la parte alta dei prati di Refreggio, alle cui baite scende anche una mulattiera (un cartello dà Nasen a 25 minuti, Roncaiola ad un’ora e Madonna di Tirano ad un’ora e 15 minuti). Se scendiamo a dare un’occhiata fra le baite di Refreggio, potremo scovare una singolarissima costruzione con pietre a secco, ad ogiva, che si trova, oltre che in Valle di Poschiavo, pressoché solo, in Provincia di Sondrio, in pochi luoghi del versante retico medio valtellinese. Si tratta di un analogo di quel che altrove è detto il casello del latte, cioè piccola baita dove gli alimenti venivano conservati grazia ad una temperatura fresca costante. Mentre, però, i caselli classici sono in genere edificati sopra piccoli corsi d’acqua che facilitano la conservazione, queste curiose costruzioni, dette “tegie”, si trovano su versanti aridi: di qui la loro struttura più massiccia, per limitare val minimo l’interscambio termico fra interno ed esterno. 

Torniamo alla strada per il Sasso del Gallo, che ora si fa più stretta: mancano ormai, solo una decina di minuti alla caserma. Poco oltre, un nuovo bivio: il sentiero di destra sale in 10 minuti al Sasso del Gallo ed al confine, mentre quello di sinistra si porta, in 5 minuti, al rudere dell’ex-caserma. Il luogo, brullo, desolato, complice anche la devastazione dell’incendio, ha qualcosa di tristemente spettrale. Andiamo a visitare, dunque, la caserma, della quale un pannello del Sentiero del contrabbando e della memoria ci dice: “Punto strategico lungo la linea di confine italo-svizzera, la caserma di Sasso del Gallo è stata operativa fino al 1987, ospitando le unità cinofile anticontrabbando e giovani guardie di finanza, diplomate al corso allievi della Scuola Alpina di Predazzo. In una notte di fine agosto 1966, con un gesto di generosità, perdeva la vita in un tragico incidente il finanziere Dario Cinus, un giovane di 23 anni di Cagliari, da pochi mesi in servizio presso questo distaccamento. Incurante del pericolo, il milite offriva il proprio aiuto ad un contrabbandiere che, vistosi inseguito, perdeva l’equilibrio e precipitava nel vuoto, trascinando con sé il giovane finanziere Dario Cinus”.

Sulla facciata della caserma, ancora in buone condizioni, si legge il motto “Nec recisa recedit”, cioè “neppure spezzata arretra”. Volendo, possiamo interpretarlo in un senso che si attaglia al ricordo del sacrificio del giovane: neppure spezzata la sua vita si lascia portar via dall’oblio. 

Ora, però, dobbiamo lasciare il sentiero, che sale ripido lasciando sulla sinistra la caserma e portandosi in una zona instabile, e tornare sui nostri passi, per breve tratto, al bivio sopra menzionato: qui, prendendo a sinistra, in una decina di minuti raggiungiamo il limite orientale del prato del maggengo Papi, sul cui limite opposto, alla nostra sinistra, si trova il confine con italo-svizzero. Siamo sul limite del bosco, ed un nuovo pannello ci informa che “questo maggengo costituiva il punto di osservazione dei contrabbandieri che curavano gli spostamenti delle pattuglie di finanzieri e, di conseguenza, comunicavano ai loro compagni quando poter partire dalla Svizzera con bricolle di caffè e di sigarette. Molti appostamenti notturni sono stati compiuti in questi luoghi: percorre oggi i sentieri e le mulattiere del contrabbando significa immergersi in una natura ricca di storia e rivivere quei momenti che tanto hanno caratterizzato il passato. 
Un cartello dà, poi, la Zocca a 50 minuti e Baruffini ad un’ora e mezza. Prendiamo, dunque, a destra, procedendo nel bosco di pini silvestri. Dopo breve tratto, un bivio: proseguendo diritti, in piano, si va alla località Zocca, mentre salendo a sinistra ci si dirige a Pradentia e Pra Baruzzo. Proseguiamo, dunque, diritti, in piano. La gentile cornice dei pini silvestri, purtroppo, ci abbandona ben presto: usciamo ad una desolante fascia di caotici arbusti, esito della devastazione di un incendio. Questo versante è davvero desolante, stringe il cuore. Quantomeno ci offre lo spunto per riflettere su come non ci sia solo la violenza degli uomini sugli uomini, ma anche quella degli uomini sulla natura. Dopo un breve tratto, intercettiamo un un sentiero che sale da destra: i cartelli indicano che seguendolo in salita ci si porta a Pradentia in 45 minuti, mentre scendendo a destra ci si porta a Roncaiola in 40 minuti. 

Scendiamo, dunque. Quasi subito siamo ad un roccione e ad bivio: mentre la discesa prosegue verso destra (Roncaiola è data a 40 minuti), prendendo a sinistra si continua sul Sentiero del contrabbando e della memoria (la Zocca è data a 30 minuti). Stiamo, dunque, a sinistra, e raggiungiamo un nuovo pannello, posto davanti ad un roccione che forma una cavità naturale; leggiamo: “Località Puzzat de Murat. Questo luogo costituiva una postazione fissa della Guardia di Finanza, utilizzata per tenere sotto controllo gli spostamenti dei contrabbandieri, che però, a loro volta, ne conoscevano bene la funzione. Sotto una roccia si possono ancora vedere i ruderi di una vecchia postazione della pattuglia della Regia Guardia di Finanza, impiegata in servizio di anticontrabbando negli anni 1900-1945, a testimonianza di un’origine molto lontana nel tempo di questo fenomeno”.

Segue un nuovo pannello, che ci propone uno scenario diverso, e reca scritto: “Linea Cadorna. Per impedire una possibile offensiva delle truppe austro-ungariche attraverso la neutrale Svizzera, nel 1915, durante il primo conflitto mondiale, il generale Luigi Cadorna diede ordine di realizzare una linea difensiva lungo il confine italo-svizzero, ma dopo la disfatta di Caporetto gran parte dei militari fu trasferita al fronte. Di questa linea ci è rimasta in eredità una fitta rete di vie di comunicazione, trincee e camminamenti percorribili a piedi. Si è voluto ricordare, in questo modo, il sacrificio di molti giovani dei nostri luoghi, che, giovanissimi, sono partiti per il fronte e, spesso, mai più ritornati.”

Scenario diverso, dunque, ma non meno tragico. Di nuovo procediamo, con qualche saliscendi, fra le devastazioni dell’incendio. Superato un modesto corpo franoso, siamo al pannello che segnala la località Cancelletti: “In questo punto avveniva lo scambio di visti sui fogli di servizio fra le pattuglie della Guardia di Finanza provenienti da Tirano e quelle di Sasso del Gallo. L’intensificarsi del contrabbando negli anni ’60 ha condotto in questi luoghi finanzieri da ogni località della penisola. Questi giovani si sono alternati in lunghi turni di vigilanza, di giorno e di notte, con l’orecchio teso a cogliere ogni movimento sospetto e con il cuore rivolto alle famiglie lontane. E spesso il sostentamento dei propri cari è stato il motore che ha spinto su queste montagne, se pur su schieramenti contrapposti, gli uni e gli altri, finanzieri e contrabbandieri in un periodo storico che rimarrà nella memoria di questi luoghi per sempre.”

Sopra la targa, un cartello dà Baruffini ad un’ora e 10 minuti. Qualche saliscendi ancora, mentre alla nostra destra la desolazione del bosco annientato è temperata dal bel colpo d’occhio su Tirano. Poi il sentiero comincia gradualmente a scendere. Di nuovo qualche saliscendi, ed il versante alla nostra destra si fa decisamente più ripido. Entriamo in un rado bosco, ma in un punto il sentiero si restringe, ed alla nostra destra il versante è talmente ripido che se scivoliamo qui non ci fermiamo per un bel pezzo. Ecco perché il sentiero è sconsigliabile in presenza di neve o ghiaccio, ma anche dopo abbondanti piogge. Ci ritroviamo, poi, in una macchia di pini silvestri: il versante è ancora ripido. In particolare, c’è una discesa esposta, problematica con ghiaccio o neve. Finalmente, una zona più tranquilla: attraversiamo due modesti corpi franosi e finiamo per intercettare carozzabile che sale da Baruffini. Un cartello dà Baruffini a 35 minuti.

Non seguiamo la strada, ma la lasciamo per imboccare una pista che scende sul limite di un prato. Lasciamo anche questa pista per prendere, a sinistra, un sentiero che scende ripido in un bosco, prima un po’ verso destra, poi verso sinistra e di nuovo verso destra, tagliando, quindi, in rapida sequenza, due piste sterrate. Noi proseguiamo diritti sul sentiero, seguendo i segnavia bianco-rossi e rosso-bianco-rossi, e scendendo verso destra. Passiamo a sinistra di una baita, ed il sentiero piega a sinistra: finalmente lo scenario si ingentilisce, in un bosco di betulle e pini silvestri. Anche l’andamento si fa meno ripido, ed il fondo del sentiero è più riposante. Usciamo dal bosco e, descritto un arco a destra, intercettiamo la strada asfaltata che da Baruffini sale verso Pra Baruzzo e Pra Campo. Non la seguiamo ma, sul lato opposto, proseguiamo su un largo sentiero che scende alla località Case di Sopra (attenzione ai cani). 

Il nucleo propone antichi rustici di grande interesse. Dario Benetti, nell’articolo “Abitare la montagna. Tipologie abitative ed esempi di industria rurale”, (in AA.VV., “Sondrio e il suo territorio”, Silvana Editoriale, Milano, 1995), così tratteggia le caratteristiche delle dimore rurali di questo nucleo: "Ca' di Gavei in contrada Case Alte. Nella zona del Tiranese il versante solatio di Baruffini, caratterizzato da un intenso sfruttamento agricolo, con terrazzamenti a vigneto e a seminativo e dalle contrade sparse, è quello che maggiormente lascia individuare le tipologie originarie della casa rurale. Le contrade sono costruite prevalentemente al centro delle aree coltivate con schiere di edifici contrapposte. Prevalentemente in pietra, le architetture più antiche spiccano per gli eleganti ballatoi e per i colori scuri delle facciate annerite dal fumo dei focolari. Al piano interrato si accede spesso dall'interno della cucina con una apertura a botola chiamata us-cèra; la cantina (involt) si utilizza per la conservazione del vino e dei prodotti dell'allevamento (salami, formaggi).

La cucina (cüsina) è il vero centro della casa, con il fugulaa che affumica tutto, senza cappa (il fumo esce solo da una piccola finestrina, la bogiula). Sopra il focolare si mettevano le castagne ad essiccare e nella cucina faceva bella vista, frequentemente, il forno casalingo (füran). I piani superiori ospitavano le camere (stüe) dalle quali si poteva accedere al ballatoio (lolbia) in fondo al quale era collocato lo stüett, una caratteristica della casa di Baruffini che difficilmente si trova altrove con la medesima frequenza: si tratta del locale apposito per la conservazione del pane di segale che veniva collocato su delle rastrelliere. All'ultimo piano il sottotetto e la crapéna per l'essiccazione dei cereali. La crapéna si utilizzava anche per lavori agricoli, per esempio la battitura del grano saraceno con il correggiato (scèl).

Passiamo fra le case e pieghiamo a sinistra, scendendo decisamente su un sentiero che taglia i prati e termina di nuovo alla strada che sale da Baruffini, non molto sopra la chiesa. Sul lato opposto, l’ultimo tratto di sentiero ci porta appena sopra la chiesa. Scesi al sagrato, chiudiamo questa indimenticabile esperienza, motivo di riflessione e sicuramente di arricchimento umano. Perché, come scriveva il commediografo latino Terenzio, “homo sum et nihil humani a me alienum puto”, “sono uomo e non ritengo estraneo a me nulla di ciò che può toccare l’uomo”.

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